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La Sicilia: Il Giardino Arabo

mediterreaneita Mar 26, 2020

Gli elementi sottolineati sono di carattere esclusivamente gastronomico.

LE ORIGINI, I GRECI (VIII-III sec. a.C.)

Scuola di Cucina

Innanzitutto, occorre fare menzione di una citazione di notevole importanza, tratta da un’opera, L’uomo velato, non altrimenti nota, citata a sua volta, in un complesso e sofisticato gioco di rimandi da Ateneo di Naucrati (II – III sec. d.C.) poiché presenta con limpida chiarezza l’operato di una scuola di cucina attiva in Sicilia, la prima del mondo classico, gestita da un certo Ladbaco. Si apprendono da questa i nomi di due discepoli e collaboratori, Sofrone e Democrito di Rodi. I tre avrebbero, dunque, di comune accordo, nutrito il desiderio di cancellare dai libri di cucina le ricette che apparissero ai loro occhi eccessivamente tradizionali. Sembra, altresì, che il loro obiettivo fosse di far cadere in disuso l’aceto, il cumino, il formaggio e l’assafetida. Di contro, propugnavano un’idea di cucina che prevedeva in massima parte l’olio d’oliva, piatti puliti e un fuoco veloce. 

Il Pane

La Sicilia, inoltre, può essere considerata la patria primitiva del frumento, durante il periodo greco, primeggiò nell’industria della preparazione del pane. In Agostini P., op. cit. troviamo un elenco di alcune principali varietà di pane in Sicilia: “Pane casereccio o Vastedda, tipico delle aree rurali e dei piccoli centri, viene cotto nei forni a legna ha crosta croccante e dorato ed acquista maggiore gradevolezza qualche giorno dopo essere stato cotto. Papalina, soffice ed elastico, fatto con farina, uova, burro, semi di cumino e altro- Mafalda, pane ricoperto di semi di sesamo. La Sicilia si occupava dell’arte di migliorare il pane quando, a quanto pare, ancora i Romani ne ignoravano l’uso e si nutrivano di farro. C’è anche un tipo di pagnotta chiamata collyra, che poi diventerà cuddura siciliana, è addirittura menzionata nella Pace di Aristofane (V sec. a.C.).

Il Pane Dolce

I Sicelioti, già da lungo tempo, conoscevano anche il modo di preparare paste fermentate col misto di vino bianco conglutinato al sole e di cuocere prima nella cenere calda e poi in tegami sovrapposti al fuoco. Non si produceva in quest’isola solamente questa specie di pane dolce; ma anche una tipologia a forma di ciambelle di farina e miele, che vengono ricordate in un frammento dell’antico poeta Stesicoro Fridico, tragediografo vissuto tra il VI e il V sec. a.C. parla delle stesse pagnotte denominandole autopyritae dicendo: “con le pagnotte autopyritae  e le torte dolcificate, fichi e olive!”

Le Lasagne

Aristofane inoltra menziona Lagamun. (In Coria, profumi di Sicilia 1981: “ecco salatar fuori le lagana strisce di pasta di farina mista ad acqua che venivano prima fritte ed arrostiree quindi unite a zuppe di verdura e legumi. Da questi lagana nasce la precisa etimologia delle attuali lasagne”) 

La PRIMA DOMINAZIONE I BIZZANTINI:

Nel III secolo d.C., si registrano i primi segni della decadenza di Roma: la Sicilia subisce le incursioni dei Franchi e le scorrerie dei Goti siano a quando Giustiniano, imperatore dell’impero d’oriente, manda in sicilia le sue truppe, i Bizzantini, che occupano l’isola per circa trecento anni fino all’827.
Di quest’arco di tempo, dal punto di vista gastronomico, sappiamo che le carni venivano cotte con giganteschi spiedi e che alto fu il consumo di formaggio piccanti. Il formaggio veniva cotto fino alla fusione, si usava il latte acido e le uova come legante oltre che come piatto a sé. In pasticceria si preparavano biscotti al miele tra i quali quelli sbollentati prima di essere cotti al forno, “i viscotta scauràti” che ancora oggi si producono in Sicilia.

LA SECONDA DOMINAZIONE GLI ARABI

Nell’827 comincia il periodo di dominazione Araba. Gli arabi erano portatori di una cultura raffinata, la loro dominazione non mirò a sottomettere i Siciliani ma ad Integrarli nella loro cultura. Gli arabi introdussero l’arte della distillazione, nuove piante, costruirono i primi agrumeti, la coltivazione della canna da zucchero, del riso, del cotone, del pistacchio, del carrubo e della melanzana. Gli arabi insegnarono anche l’arte di seccare i fichi ed uva; diffusero spezie provenienti dall’oriente come macis, ambra, zafferano, cardamomo e cannella. Per merito degli Arabi, giunsero in Sicilia anche il sesamo, i meloni, la palma da datteri e i fichi d’india.

E’ tuttavia, la pasticceria dove gli Arabi hanno lasciato maggiormente la loro impronta. Sono di origine araba molti dolciumi come le crispeddi di riso con il miele, la cassata e il marzapane. Inoltre sono stati gli Arabi gli inventori del sorbetto e della cubbaiata di gigiulena, dolce fatto con il miele, mandorle e semi di sesamo, consumato ancora oggi.

Ma i Siciliani non accettarano, tuttavia, passivamente le influenze gastronomiche arabe, ma le arricchirono, le perfezionarono, le adattarono al loro gusto. Basti pensare all’uso arabo di prendere con le dita da una parte il riso lessato e dall’altra pezzettini di carne: da questa usanza presero spunto i Siciliani per inventare le arancine di riso, ancora oggi una delle migliori e più famose prelibatezze della cucina siciliana. Ricordiamo, inoltre, come legato a quel periodo, lo zammu, una bevanda a base di anice e acqua.

TORRONE 

La sua origine è avvolta nel mistero e cercando nella storia, sarebbero stati gli arabi a portarlo nel bacino del Mediterraneo, in Sicilia, in Spagna, e a Cremona, strategico porto fluviale sul Po, e a renderlo una variazione della famosa “cubbaita” o “giuggiolena”, dolce arabo fatto di miele e sesamo. L’inizio della produzione di torroni tradizionali in Spagna si fa risalire al XVI secolo. In Italia se ne trovano tracce tra il 1100 e il 1150, quando Gherardo Cremonese tradusse il “De medicinis e cibis semplicibus”, scritto dal medico di Cordova Abdul Mutarrif esaltando le virtù del miele e citando un dolce arabo: il ”turun”. I cremonesi sostengono che il torrone sia nato lì, nel 1441, durante il banchetto nuziale di Bianca Maria Visconti e di Francesco Sforza, quando venne confezionato in forma di Torrazzo (l’alta torre campanaria del duomo della città).

LIMONI

Durante il periodo romano l’unico agrume presente era il cedro, che Plinio chiamerà “citrus” e da cui deriverà la radice fonetica per indicare gli agrumi. Simbolo del calore e del sole mediterraneo, il limone ha origini asiatiche, dell’Estremo Oriente (India e Cina), dove fu trovato allo stato spontaneo. In Occidente il limone si diffuse intorno all’anno 1000 grazie agli Arabi che lo portarono in Sicilia, come testimoniano alcuni scritti arabi del XII secolo (le origini del nome derivano dal persiano “Limu”). Tuttavia la coltivazione intensiva in Sicilia iniziò solo nel XVII secolo ad opera dei padri Gesuiti. E solo nel XVIII secolo il limone cominciò ad essere usato in cucina per aromatizzare cibi e bevande.

LA TERZA DOMINAZIONE GLI SVEVI:

Dopo quella araba, la Sicilia conosce la dominazione prima dei Normanni che cacciarono gli Arabi dall’isola, e poi quella degli Svevi (1194 – 1266) culminata con il regno di Federico II.
Questo è un altro periodo felice per la Sicilia, anche dal punto di vista gastronomico. Sotto il regno di Federico II, i Siciliani conobbero baccalà e pesce stocco importati dall’Europa del nord. Si diffusero anche le aringhe affumicate e nelle grandi casate nobiliari compaiono i monzù.

LA QUARTA DOMINAZIONE I FRANCESI:

Venne, quindi, il turno della dominazione francese degli Angioini (1266 – 1302). Sono risalenti a questo periodo alcuni termini che indicano diverse specialità culinarie come: ragù, gattò, sanfasò, sciabbò, fricassè.

LA QUINTA DOMINAZIONE GLI ARAGONESI:

Alla dominazione degli Angioini si accavalla quella degli Aragonesi (1282 – 1516). La gastronomia Siciliana vive un altro periodo d’oro, si arricchisce di fritture di elaborazioni dei monzù quali il biancumanciàrì 

LA SESTA DOMINAZIONE GLI SPAGNOLI:

Con la dominazione spagnola (1517 – 1713) e con la scoperta dell’America, arrivano in Sicilia alimenti sino ad allora sconosciuti, come pomodori, peperoni, patate, cacao, vaniglia. A differenza di quanto si afferma, era invece già diffuso in Sicilia il FAGIOLO, erano stati gli Arabi, infatti a portarla in Sicilia nel IX secolo.

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Davide Guidara è un caso: per il ruolo che ricopre, sul fumo delle tappe bruciate, e per la passione che divora la sua cucina, sempre più centrata. La vocazione del resto non ha perso tempo con lui. “Avevo 9 anni quando comunicai in casa la mia intenzione, ovviamente io non ne ho memoria, ma mia madre ancora lo ricorda”. È seguito l’alberghiero a Castelvenere, subito affiancato dalle prime esperienze: il Foro dei Baroni a Puglianello, Don Alfonso,il Mosaico di Nino di Costanzo, la Terrazza di Roma con Fabio Ciervo, il Sea Grill di Bruxelles, Michel Bras e il Noma.

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