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Le farine di sussistenza

mediterreaneita, storie Mar 31, 2020

Ho imparato a considerare la possibilità di poter utilizzare le farine selvatiche quando ero molto giovane, forse ragazzina osservando le persone attorno me. All’inizio mi sembrava quasi un gioco , un modo per portare nei miei giochi di bambina elementi che trovavo la fuori, il mio luogo preferito.  Crescendo , appassionata di cucina, di etnobotanica e di tutto ciò che ha costituito poi il mio lavoro, ho approfondito davvero molto e per anni l’uso di questo soluzione nutrizionale denominato “farine di sussistenza” sperimentandone gli usi tradizionali e utilizzandola in maniera più contemporanea, lavorando su nuovi aspetti e nuove composizioni e nuovi ingredienti. Ho fatto e rifatto ricerca su questo argomento, l’ho insegnato e divulgato a molti chef e tante persone, ma non mi sono ancora stancata di esplorare le stupefacenti potenzialità di questi ingredienti. Oltre ad essere importanti sotto il punto di vista nutrizionale hanno un risvolto funzionale negli impasti o in altre preparazioni . 

In realtà  quello che io ho appreso dalla diretta esperienza di persone a me vicine è stato un uso comune nei secoli scorsi fra moltissime popolazioni sparse per tutto il pianeta. Le farine di sussistenza venivano utilizzate in periodi di carestia o povertà o semplicemente per mancanza di grani e semi e sono state parte fondamentale dei pasti che furono e di tante identità culturali ed alimentari. 

In sostanza produrre una farina di sussistenza significa macinare insieme ad altri ingredienti più usuali ( come grano, mais o altri cerali ) degli ingredienti selvatici adatti al nutrimento umano e disponibili intorno a noi ma soprattutto  molto molto nutrienti. Le farine di sussistenza più comuni venivano fatte con corteccia interna di diversi alberi. I tronchi di albero sono elementi naturali sempre disponibili, in ogni stagione, e la corteccia interna è l’unica parte del tronco che possiamo assimilare non essendo composta da cellulosa ed è, inoltre,  molto ricca di nutrienti. La corteccia interna porta infatti il nutrimento che viene prodotto attraverso le foglie ai rami, al tronco e alle radici. L’alburno invece porta linfa dalle radici alle foglie. Per raccogliere la corteccia interna si devono eseguire dei tagli sul tronco  sull’albero in maniera superficiale creando la forma di nastro che poi viene strappata portando via la corteccia interno ed esterna dell’albero. Per questo ,come gia descritto nei capitoli precedenti, questa operazione deve esser fatta con estrema delicatezza e rispetto per l’albero, generalmente solo da esemplari gia caduti o abbattuti. La corteccia interna può essere poi essiccata -come avevo già osservato  precedentemente, macinata in farina e  utilizzata come alimento. Gli alberi la cui corteccia può essere utilizzata in questo modo sono moltissimi tra cui i più comuni : l’ontano, il frassino, il tiglio, il faggio, la betulla, l’olmo, l’abete, l’acero, il pino, il pioppo, l’ abete rosso e il salice.

Altre farine di sussistenza utili sia sotto un punto di vista nutrizionale che funzionale sono quella di licheni , utile negli impasti senza glutine aiutando a stabilizzare l’impasto, renderlo più soffice e idratato, quella di alghe che ha le stesse proprietà, la farina di alcuni frutti selvatici ricchissimi di nutrienti ma anche di pectina sempre utilissima negli impasti con proprietà similari a quelle dei licheni, quella di fiori, di ghiande, di semi ricchi di mucillaggini e altre ancora. 

Durante le mie ricerche ho scoperto che l’attitudine dell’aggiungere alle farine la corteccia di alcune tipologie di alberi sembra essere una tradizione prevalentemente scandinava. Menzione di questa usanza si trova nella letteratura medievale nordica  ed ha tradizione ancora più antica tra il popolo Sami . 

Ma questa abitudine era in reltà diffusa anche nel panorama mediterraneo.  Durante il 18 ° e 19 ° secolo in Europa ha subito si sono verificati dei pessimi raccolti, in particolare durante la Piccola Era Glaciale della metà del 18 ° secolo . Il raccolto del grano era stato duramente colpito e sono state introdotte soluzioni creative per aumentare la quantità di farina a disposizione delle comunità. Figuravano, oltre a del pane  di “corteccia”, il pane fatto con bucce di vari ortaggi e pane a base di ossa bruciate. Durante le guerre napoleoniche , veniva utilizzato molto spesso negli impasti lievitati il muschio.  L’ introduzione della patata come coltura principale ha fatto si che  il pane di farina di sussistenza diventasse meno  necessario.  

In Svezia settentrionale intorno al 1890 vi sono notizie dell’uso Sami di raccogliere la corteccia del pino silvestre, e in Finlandia il “pettuleipä” ( letteralmente  pane pineta “), è stato prodotto come surrogato del pane durante la guerra civile finlandese del 1918.  Anche sulle alpi e sugli appennini e sulle nostre coste l’usanza di utilizzare le cortecce interne degli alberi , alcune erbe , semi selvatici e frutti era diffusa. 

Quasi ogni giorno da anni produco e cuocio pani di farina di sussistenza. Quando apro il forno dopo la cottura un profumo intenso e buonissimo invade la stanza. come una calda brezza proveniente dal la fuori.

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Valeria mosca
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Valeria Mosca

Mi chiamo valeria margherita mosca e mi occupo di foraging, alimurgia e cucina. Nel 2010 ho fondato wood*ing, food lab che fa ricerca, consulenza e formazione sull’utilizzo del cibo selvatico in cucina e che tutt’ora dirigo. Wood*ing nasce dalle passioni della mia vita: natura, esplorazione e cibo. Gli spazi incontaminati sono i luoghi in cui preferisco stare e passare il tempo. Studiare la natura e le sue infinite possibilità mi insegna a vivere ed e’ la mia ispirazione primaria. Perciò mi ritengo molto fortunata a poter svolgere un lavoro a stretto contatto con l’ambiente. i nostri piatti intrisi di scienza e ricerca si possono provare tre volte al mese quando apriamo il lab per un menù degustazione per il pubblico

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