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La Terra del Rimorso

mediterreaneita, musica, storie Apr 22, 2020

Sono convinto che mai come oggi, pur vivendo in contesti sempre più dilatati, nei quali i contatti sono velocissimi, per resistere non dobbiamo mai abbandonare le nostre radici. Per diventare internazionali, dobbiamo appartenere a un Paese. Quel Paese, per me, è il Mediterraneo, che è sterminato patrimonio di culture e di visioni.”

Mimmo Paladino “L’Accoglienza è una donna Mediterranea” (2013)

La straordinaria diversità di popoli, di storie, di tradizioni, di usi e di costumi che si riversano nel “Mare Nostrum” diventano fiamma da tenere sempre viva per illuminare un futuro che deve partire dalla salvaguardia di quello che è stato.
La ricchezza di questo Bacino si districa sin dalle sue origini in una perenne convivenza tra scienza e credenze popolari, tra fervida religione e riti pagani, tra magia e riti esoterici.
Il frutto di questo percorso vorticoso lo vediamo quotidianamente in tutto ciò che ci circonda, nei dialetti che parliamo, nei cibi che consumiamo, nell’arte, nell’architettura sino ad arrivare alla musica.

La musica, che in questo bacino ha raggiunto anche una valenza terapeutica e di catarsi nell’ambito del tarantismo.
Una sindrome riscontrata nel Sud Italia che si riteneva essere causata dal morso di ragni (taranta o tarantola) e capace di offuscamenti dello stato di coscienza, e condizioni di epilessia e isteria.

Lo studio etnografico e la relativa spedizione in Salento dell’antropologo culturale Ernesto De Martino seguito da uno psichiatra, uno psicologo, un musicologo e un sociologo nell’estate del 1959 hanno analizzato a fondo questo fenomeno, seguito dagli studi del documentarista Luigi di Gianni nel 1965 con “Il Male di San Donato”.

Un fenomeno che si manifestava nei mesi estivi durante il periodo della mietitura del grano, associandone la malattia al morso della tarantola (Lycosa Tarantula) il cui morso non risulta velenoso e quindi incapace di causare gli effetti manifestati dai “tarantati” ma ben più probabile l’ipotesi che la causa fosse il morso della vedova nera mediterranea (Latrodectus tredecimguttatus) il cui morso è altamente pericoloso e causa di sindrome neurotossica.

Al presentarsi di uno stato di malinconia, deliri, offuscamento dello stato di coscienza e dolori muscolari, riconducibili allo stato di epilessia e isteria, la cura prevista avveniva attraverso un vero e proprio esorcismo di natura musicale.
Il rito avveniva ad opera di suonatori di tamburello, violino, organo, armonica a bocca e altri strumenti musicali nella dimora del tarantato, approntata per il rituale tra colori, oggetti e iconografie ecclesiastiche “utili” a capire la tipologia di malessere dell’ammalato.

Dando inizio alla musica e al suo ritmo sfrenato, che ritrova il suo fondamento già nei trattati di armonia musicale di Aristosseno (375 a.C.), il malato comincia a muovere gli

arti, e successivamente il resto del corpo attraverso contorsioni per più ore sino anche a più giorni sino allo sfinimento.
La tradizione infatti voleva che la taranta si consumasse e soffrisse sino allo sfinimento attraverso la musica e la danza.

Il ballo convulso, accelerando il battito cardiaco, rilasciando endorfine e cospicua sudorazione favoriscono l’eliminazione del veleno, alleviando il doloro provocato dal “morso”.
Il rituale variava in base alle reazioni dell’ammalato, allo stimolo dei suoni faceva riscontro quello dei colori.

Al ritmo seguiva una fase “cromatica” da parte dell’ammalato il cui colore che attraeva la sua attenzione corrispondeva al colore della taranta colpevole del male.
Il perimetro entro il quale si celebrava il rito era circondato da fazzoletti di vario colore, secchi ricolmi di acqua (nel caso di taranta d’acqua l’ammalato ci si immergeva), sedie, scale, spade e immagini sacre.

Cerimonie analoghe le ritroviamo in Sardegna, in Penisola Iberica e nella Grecia insulare, così come nello stesso Salento l’utilizzo delle spade in una danza durante la Festa di San Rocco a Torrepaduli.

Alla luce degli studi di De Martino, il fenomeno coesiste su due livelli: il primo come fenomeno di natura culturale e religioso attraverso il culto di San Paolo a Galatina il 29 giugno, ritenuto santo protettore di coloro che sono stati pizzicati da un animale velenoso, la cui grazia era capace di guarire l’ammalato.

Gli ammalati confluivano nella chiesa nel richiedere la grazia e per bere l’acqua del pozzo presente nella cappella ritenuta miracolosa, in preda ad uno stato di incoscienza che confluiva in atti osceni o violenti nei confronti dell’immagine del santo, che portarono a sconsacrare la Cappella.

Questa sarebbe la piccola abitazione nella quale il Santo trovò accoglienza nel suo viaggio verso Roma.
Quando la lasciò, per ringraziare chi lo aveva ospitato, conferì loro e a tutta la loro discendenza il dono della guarigione dal morso di animali velenosi, da utilizzare insieme all’acqua del pozzo associato alla casa, da allora arricchito da proprietà magiche. Manifestazioni di culto identiche sono presenti nel Comune di Montesano Salentino riguardanti il culto di San Donato (7 agosto) tradizionalmente protettore degli epilettici. Da qui una ulteriore definizione della malattia in “Male di San Donato” il cui rito di mortificazione e di penitenza si può ricondurre al culto di San Gerasimo ad Argostoli sull’isola di Cefalonia.

Il secondo livello, di natura psicologica, ritiene il “male” la manifestazione di un malessere psichico che sfocia in una patologia.
Dichiararsi “tarantolati” era una disgrazia e una vergogna per la famiglia colpita, anche dal punto di vista economico, provocando molto spesso un vero e proprio dissesto economico alle famiglie dei tarantati nel ricorrere periodicamente all’esorcismo musicale.

Lo studio di De Martino analizza una schiacciante prevalenza delle casistiche nelle persone di sesso femminile, in uno specifico periodo della vita, la pubertà e per le donne il menarca; l’ora del giorno, le dodici in cui si consuma il primo morso.
Morso che diventa “rimorso” di una vita non più spensierata come quella infantile, dove si accettano dolori e circostanze di una vita spesso imposta da circostanze familiari. Fatica del raccolto, crisi della pubertà, lutti, amori infelici, matrimoni imposti, conflitti familiari simbolicamente raffigurati dal morso di taranta.
Reazioni che scongiurano ansie e delusioni di una esistenza segnata dalla povertà e dall’emarginazione.

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Livio Improta
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Livio Improta

Dopo i suoi esordi tra le torri medioevali di San Gimignano al “San Martino 26”, sotto la guida dello chef Ardit Curri, intraprende il suo percorso “stellato” alla corte di Raffaele Vitale in quella “Casa del Nonno 13” che ha segnato il suo cammino. Polignano a Mare e Firenze due tappe all’insegna del cibo di strada; dai panini di mare del progetto Pescaria, a quelli con il lampredotto della Ditta Nigro presso il Mercato Centrale di Firenze. Scelte dettate da amore per le tradizioni regionali italiane che lo hanno spinto a raggiungere lo storico Palazzo Vescovile di Conversano nel ruolo di sous-chef presso il ristorante Pashà. Archiviati i due anni alla corte di Maria Cicorella, dal principio del 2018 una nuova storia da raccontare, questa volta nella cucina “diretta”, consapevole e sperimentale dello chef Antonio Bufi presso il Ristorante Le Giare di Bari. Oggi fa parte della squadra di Giuseppe Iannotti al Kresios di Telese Terme

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